C’era una volta la seta


Breve dizionario storico della seta nell’epoca in cui la durabilità e la sostenibilità erano solo sfiorate dall’industria




Le conseguenze della bassa durabilità e sostenibilità:

AFFEZIONI respiratorie croniche


Essendoci una bassa durabilità e sostenibilità all'interno dell’ambiente dei reparti di tintoria – principalmente in quelli dove si operava la purga della seta – l'atmosfera era costantemente pervasa da pesanti nebbie sprigionate dagli apparecchi, ai tempi privi di ogni forma di copertura. Soprattutto durante la stagione invernale, questa nebbia (nota col nome dialettale di “baff”) era anche fredda e quindi causa di ripetute bronchiti e polmoniti, che tendevano inoltre a cronicizzarsi.

ANILINA e la fabbrica delle vedove

L’anilina, sostanza che ha avuto una grande responsabilità nella storia e nello sviluppo della chimica organica applicata al mondo dei coloranti tessili, è stata riconosciuta altamente cancerogena; e, così come lei, altre ammine aromatiche (ad esempio la benzidina) sono oggi state eliminate, tanto che il loro impiego per la fabbricazione dei coloranti per tessuti è ora vietata.

Emblematico fu il caso delle aziende chimiche che, sino al secondo dopoguerra, la utilizzavano per fabbricare coloranti in impianti totalmente sprovvisti di adeguati strumenti di protezione individuale. Va ricordata come esempio l’IPCA di Ciriè (To) - Industria Piemontese di Coloranti all’Anilina -, tristemente nota col soprannome di “Fabbrica delle vedove”, tanta era la mortalità per tumore alla vescica delle maestranze addette.

La terribile caratteristica dell’anilina diminuisce di molto quando questa si trova complessata nelle molecole dei coloranti, per cui i tessuti (e i relativi capi con questi confezionati) anche se tinti o stampati con coloranti all’anilina, possono essere utilizzati senza particolare pericolo.

I coloranti all’anilina erano ricercati ed apprezzati per due motivi:

  • Il primo consiste nel basso costo, sia della materia prima sia della facilità di preparazione.
  • Il secondo è dato dal fatto che tali coloranti sono facilmente distrutti mediante agenti riducenti.

Si tratta di una qualità importante all'interno del tessile comasco, che li ha sempre utilizzati per preparare i fondi tinti da stampare in corrosione, lavorazione e da sempre vero fiore all’occhiello dell’industria serica di Como. Il problema deriva dal fatto che, durante questa lavorazione – che si sviluppa durante la fase di vaporizzaggio –, tra i prodotti di demolizione dei coloranti si ripristina l’anilina che, come aerosol, finisce nell’atmosfera dei reparti, con nefaste conseguenze.

ARTRITE deformante

È stata la tipica affezione patologica delle mani delle filatrici, sempre a contatto con l’acqua calda delle bacinelle di trattura. Per mitigare e sopportare il forte calore delle bacinelle, le donne avevano a disposizione una vaschetta di acqua fredda per ristorare le mani. Col passare del tempo, le dita rimanevano deformate e doloranti per gravi forme di artrite, nota con il nome di “mal delle bacinelle”. La cura consigliata era quella di utilizzare la propria urina come lenitivo.

CALDAIE... a guscio

Erano i tempi della Seconda Guerra mondiale, tempi di autarchia e di difficile approvvigionamento delle materie prime, ivi compresi i combustibili. Le caldaie allora erano alimentate a carbone, ma il carbone scarseggiava. In Tintoria Pessina si ingegnarono e si arrivò, pur di non rallentare con il lavoro, a usare come combustibile alternativo i gusci e i noccioli dei semi oleosi, scarto residuato delle spremiture.

In temp de guèra, i caldér andavan cônt i güss di giand armandôl!

Forse fu uno delle prime forme di recupero ecologico ante litteram, perché quegli scarti sarebbero stati destinati inevitabilmente solo alla discarica.

FORMALINA, formaldeide o aldeide formica

Il pericolo di dannosità non era confinato solo all’anilina e affini: anche i coloranti al naftolo avevano altrettanta tossicità. A onor del vero nel comasco tale categoria di coloranti era poco utilizzata, per cui i relativi problemi di rischio cancerogeno furono molto limitati.

Anche tra gli altri svariati prodotti utilizzati nell’industria tintoria si contavano dei veri e propri mostri di pericolosità e, tra questi, eccelleva la formaldeide che da alcuni anni è stata, finalmente, riconosciuta come sostanza dall’alta tossicità e agente sicuramente cancerogeno, finendo quindi nella lista nera. Questa era utilizzata in tintoria per migliorare le solidità a umido dei toni neri su seta ma, molto più massicciamente, per preparare in situ le resine antipiega utilizzate soprattutto nel finissaggio dei tessuti di viscosa. Per prima cosa si preparava estemporaneamente una miscela di urea con la formaldeide, messa in eccesso, “tanto (si diceva) è volatile e durante l’applicazione quella di troppo evapora e se ne va”: i tintori di allora ricordano ancora il caratteristico pizzicore in gola e il bruciore agli occhi quando si faceva il trattamento. Negli anni d’oro della lavorazione dei tessuti pesanti di viscosa, occorreva preparare l’antipiega più volte al giorno e questo dà la misura di quanta formaldeide girasse per i reparti di finissaggio.

Oggi finalmente, vengono impiegati precondensati di urea (o melammina) – formaldeide in rapporto pressoché stechiometrico, ragion per cui non c’è più presenza di formaldeide libera, né negli ambienti né sui tessuti; peraltro non più tollerata dalle vigenti normative. E pensare che, da piccoli negli anni 50-60 quando si aveva il mal di gola, il farmacista prescriveva le pastiglie di Formitrol “alla formaldeide attiva”.

INQUINAMENTO da Cromo esavalente e altri metalli pesanti

Prima dell’avvento di categorie nuove di coloranti dotati di elevate solidità che permettono un’ottima resistenza alla follatura della lana, erano di uso corrente i coloranti al cromo, nei quali il metallo (sotto forma di Sali di cromo esavalente) agisce da complessante del colorante già salito sulla fibra, formando una lacca fortemente insolubile. La fissazione veniva effettuata trattando la merce tinta con un bagno di bicromato di potassio; bagno che, al termine, veniva scaricato direttamente nelle acque reflue, con il suo carico di metallo pesante che andava ad inquinare pesantemente le falde acquifere.

Anche quando entrarono in funzione gli impianti di depurazione le cose non andavano meglio, perché il cromo esavalente riusciva a metterli fuori uso, in quanto tossico per i microorganismi deputati alla digestione dei reflui. Se il problema era fortemente sentito nei distretti lanieri (basterebbe pensare che, a valle del Biellese, ci sono le risaie vercellesi), anche a Como non si era al sicuro da questa insidia, perché nel nostro distretto questa tipologia di coloranti era utilizzata (anche se in quantità decisamente minori) per la tintura in nero di tessuti elastici per corsetteria femminile.

A Como, nelle stamperie era abitualmente impiegato il permanganato di potassio, per pulire quei fondi bianchi dei tessuti stampati per costumi da bagno che fossero rimasti influenzati di colore in fase di lavaggio post stampa. Anche in questo caso i bagni venivano tranquillamente scaricati nel lago.

PAESAGGIO RIMODELLATO

La Torbiera di Albate è una zona umida situata sbarrata da un breve cordone morenico, a ridosso del quale si è creata una lieve depressione di incerto displuvio dove confluiscono, tra le altre, le acque provenienti dalla Val Basca. Il ristagno d’acqua ha poi creato nel tempo una vasta zona ricoperta di torba. La Tintoria Pessina ottenne la concessione di prelevare torba per uso combustibile e cominciò a scavare e togliere lo strato torboso superficiale. L’attività di estrazione , dalla metà degli anni trenta, è continuata sino al dopoguerra senza interruzioni.

La qualità del combustibile ottenuto era molto scadente, essendo la torba inzuppata d’acqua e bisognosa di un lungo tempo di asciugatura ed essiccazione prima di poter essere utilizzata, senza dimenticare che il suo potere calorifico è veramente basso, ma si è fatto di necessità virtù.

La zona di scavo, alla fine del prelievo, risultò molto vasta e, progressivamente, nella depressione che si andò a creare si formarono due laghetti, diventati oggi prezioso rifugio e sosta di uccelli acquatici stanziali e di passo, tanto che l’area è stata dichiarata di interesse faunistico e ambientale, ottenendo il blasone del WWF col nome di Oasi del Bassone.

Certo, meglio sarebbe stato se non fosse scoppiata una nefasta guerra ma, almeno oggi, il Bassone è un’oasi di pace!

RISORSE dagli scarti

Era consuetudine che le tintorie che lavoravano per conto di terzi trattenessero un campione della merce lavorata per eventuali contestazioni, qualora fossero sorte lagnanze per non conformità o difettosità di lavorazione.

Le tirelle di tessuto, una volta scaduti i termini per eventuali reclami, venivano suddivisi per tipologia e la stessa sorte la subivano gli sfridi di lavorazione.

La seta era venduta direttamente al cascamificio, per rientrare in ciclo come schappe e le tirelle di altre fibre andavano agli stracciaioli di Prato che le suddividevano e le trasformavano in “nuovi” filati e tessuti. Questo almeno sino a quando fu in attività il cascamificio e le fibre lavorate erano quelle naturali e/o artificiali. L’avvento delle fibre sintetiche e delle loro miste ha reso più complicata, difficile e antieconomica la separazione delle fibre e quindi anche il recupero degli scarti in vista di un loro riutilizzo.

Altra destinazione avevano gli scarti dei filati in tintoria Pessina.

Gli sfridi e le referenze scadute costituite di seta erano venduti tali e quali al cascamificio, come per gli scarti di tessuto. Le referenze di filati di altra natura trovavano nuova vita in un modo ingegnoso: usando una trecciatrice venivano accoppiati e trasformati in cordonetti variamente variopinti ed utilizzati come spago per legare i pacchi di matasse da inviare ai clienti. La trecciatrice era posta in un locale attiguo alla portineria e veniva messa in funzione dalla guardia notturna; il rumore era tale da contribuire efficacemente a tener desto il vigilante.

SATURNISMO

I lucidisti utilizzavano un inchiostro nero al piombo per realizzare i lucidi utilizzati per preparare i quadri da stampa. Era un inchiostro particolare nel quale la componente di piombo contribuiva ad una maggiore impenetrabilità alla luce, per ottenere fotoincisioni più nitide e meglio definite nei particolari minuti.

Come è consuetudine, per ottenere dettagli molto fini e sottili in pittura è necessario assottigliare la punta del pennello, cosa che i pittori abitualmente ottengono stringendo l’apice delle punte tra le labbra inumidite di saliva. Col tempo, il piombo dell’inchiostro veniva assorbito dall’organismo attraverso l’apparato digerente, arrivando a provocare casi, talora gravi, di saturnismo (Nausea, vomito, diarrea, intensi dolori addominali, anemia, ittero, insufficienza renale)

SORDITA’


Nei reparti di tessitura, quando i telai funzionavano con le navette, il continuo e ripetuto colpo secco inferto dalle spade alla navetta produceva un rumore assordante che immancabilmente generava sordità. Ora i telai a navetta sono quasi solo un ricordo e le nuove tecnologie di inserimento della trama son molto meno rumorose; inoltre sono state introdotte anche le cuffie protettive, per cui oggi l’udito dei tessitori ne ha tratto grande giovamento.

STAGNO: delle acque reflue e della carica della seta

Dello stagno che era utilizzato nei procedimenti di carica minerale della seta almeno un terzo andava perso nelle acque di lavaggio. A onor del vero lo stagno che defluiva libero nel lago di Como non era particolarmente pericoloso, essendo lo stagno un metallo pesante non tossico (basti pensare alla banda stagnata delle scatolette di conserva usata prima della banda smaltata). I ragazzi della generazione di inizio Novecento andavano a fare lo scivolo sül paltôn, cioè sul sedimento scivoloso che si formava per accumulo di idrati di stagno sulla bocca dello scarico libero delle acque reflue della Tintoria Pessina nel Cosia.

Il recupero dello stagno nacque come risposta ad un problema economico, visto il valore elevato che ha sempre avuto questo metallo.

Dell’ecologia e della sostenibilità ambientale invece, sino agli anni Settanta, nessuno si occupava; anzi, era considerata solo un costo evitabile.


Paolo Aquilini
Direttore del Museo della Seta di Como


Con il contributo di

Regione Lombardia
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